Del corpo dei potenti se ne parla da secoli. Il corpo è servito spesso a connotare e a rappresentare il potere, l’autorità. Fin dal tempo dei greci l’eroe dal fisico meraviglioso imponeva già con la sua figura il rispetto e l’autorevolezza dovuti. E giù giù fino al potere dei Re, ritratti con vesti sfarzose o nell’atto di combattere come soldati valorosi. Dal canto loro anche i papi con i loro ermellini mentre venivano trasportati su un trono trasmettevano tutta la loro potenza.
Quindi, per usare un luogo comune, in politica l’abito fa il monaco. Viene da chiedersi: ma anche oggi è così? Oggi che l’autorità, se non per i (pochi) monarchi sopravvissuti a guerre calde e fredde, non viene più mostrata con segni esteriori particolari si può ancora parlare di corpo dei potenti (e quindi dei politici)?
C’è quindi l’abito (o il vestito) riformista o la grisaglia conservatrice?
Dopo averci pensato un po’ viene da rispondere di sì. C’è più che altro la necessità di raccontare qualcosa della propria visione del mondo, o della politica (uno storytelling “indossato”) o forse imporre uno stile riconoscibile e condivisibile. Per creare l’effetto positivo e “bucare” così uno schermo o rendere utilizzabile e “virale” una fotografia.
Gli esempi sono facili da reperire ed elencare: chi non ricorda la famosa camicia bianca del Renzi “rottamatore”? Ora se ci si fa caso, dopo l’investitura a segretario del Pd e poi a Presidente del Consiglio la giacca è d’obbligo ma un ‘eccezione c’è stata: la famosa chiusura della Festa nazionale dell’Unità a Bologna nello scorso settembre. Renzi invita al suo fianco quattro astri nascenti del riformismo europeo: Manuel Valls , primo ministro del governo francese, socialista, Pedro Sanchez, neo segretario del PSOE spagnolo, il segretario della Spdtedesca Achim Post e il vicepremier olandese Diederik Samson, del Partito del Lavoro. Tutti in camicia bianca. L’impatto visivo fu effettivamente significativo. C’era sicuramente un intento goliardico, un fare il verso del premier italiano. Ma c’era anche un’identificazione. «Siamo il nuovo, gli scapigliati che rottamano il vecchio potere e la camicia bianca è la nostra divisa»sembravano annunciare i cinque politici tutti nati negli anni 70.
Quale migliore identificazione di questa? Quale messaggio più chiaro?
Altro esempio di “abbigliamento politico” è quello di Alexis Tsipras, il neopremier greco che non ama portare la cravatta. Le motivazioni più che private sembrano di immagine. Non presentarsi in grisaglia come invece sembra essere obbligatorio a Bruxelles e in tutti i summit europei è un altro modo di evidenziare le differenze con i “signori della troika” tanto invisi al popolo greco. Si spinge più in là il suo ministro delle finanze, YanisVaroufakis, che addirittura si presenta con improponibili camicie colorate portate fuori dai pantaloni e giacche spesso di colore diverso dai pantaloni. La faccia da vecchio pugile vissuto fa il resto. E il messaggio è chiaro: noi siamo diversi e non vi permetteremo di decidere del nostro destino e dei nostri soldi.
Tutto il contrario dei compostissimi funzionari e referenti politici di Bruxelles tra i quali spicca il finlandese Jyrki Katainen, ora vice di Juncker alla Commissione europea. Anche i suoi occhiali da dottorando concorrono a dargli quell’immagine di efficienza e rigore adatta al suo ruolo.
Ultimo esempio degli innumerevoli che si possono fare il discusso ma anche stimato da tanti cittadini Guido Bertolaso, ex Capo Dipartimento della Protezione civile, che in ogni intervista, in ogni ospitata nei talk show sfoggiava la maglietta della stessa Protezione civile, tipica divisa che contraddistingue i componenti del Dipartimento stesso. Un indumento informale, operativo, che diceva più e meglio di ogni parola quanto fosse “uomo del fare”, anti –burocrazia, quell’uomo che la portava. A prescindere da come sia poi finita la sua parabola alla protezione civile un espediente vincente. Come sempre appaiono le strategie dell’abito che fa il monaco.
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Gianluca Garro