Se il consenso si conquista con lo storytelling

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Nel 2015 il consenso si conquista raccontando. E’ l’epoca dello storytelling. Una specie di super racconto assemblato con tanti pezzi che sono i “mezzi” su cui il racconto viene intercettato dal pubblico, multiforme e allo stesso tempo unica “massa”.

Lo storytelling passa da Instagram, Twitter, Facebook, i siti web politici e  informativi, la TV, la radio per poi posarsi sulla carta dei giornali e da lì ripartire verso i social network in un circuito dalle curve velocissime. Ad ogni giro del circuito prende forma una particolare immagine che si stampa nelle menti. A quel punto il risultato è ottenuto. La vittoria, politica, guadagnata.

L’osservazione rivela che non ci sono ormai “liturgie” che possano rappresentare delle eccezioni al tentativo dei protagonisti della politica di raccontare un determinato evento per orientare i “sentimenti” del pubblico.

E’ il “sentiment” che caratterizza un particolare momento sui social , e che accomuna tante opinioni espresse contemporaneamente. Il tutto concorre con il gioco di rimandi tra mondo dei social e media tradizionali a creare un filo conduttore che porta buona parte del pubblico a condividere il “sentiment” desiderato da un particolare emittente, valorizzando e premiando una determinata scelta.

Tutto questo è successo anche per le elezioni del Presidente della Repubblica nell’ultima settimana di gennaio del 2015. Per Matteo Renzi che ha proposto il nome di Sergio Mattarella, si è posta subito la necessità di legittimare la scelta agli occhi dell’opinione pubblica.

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La figura di Mattarella, molto nota agli addetti ai lavori, era per lo più sconosciuta al cittadino comune. Un giudice della Corte Costituzionale: quanto di più oscuro al pubblico.

Una situazione molto favorevole dal punto di vista dello storytelling. Perché pur senza snaturare le caratteristiche specifiche del personaggio, la pagina bianca che simboleggia la sua impronta nell’arena mediatica degli ultimi anni permetteva di raccontare con una certa libertà.

Nelle ore successive all’annuncio dagli account Twitter e Facebook del Partito Democratico partivano post e tweet che lanciavano la figura di Mattarella come l’aveva raccontato il Presidente del Consiglio nel suo discorso. Un professore che aveva scelto di impegnarsi nelle istituzioni e in politica dopo la morte, per mano della mafia, del fratello Piersanti che nel 1980 era Presidente della Regione Sicilia. Viene  rilanciata la foto degli attimi immediatamente seguenti all’attentato in cui si vede il neo Capo dello Stato sorreggere il corpo morente del fratello. Un “racconto” era partito. Un trait d’union tra le stagioni delle ferite inferte dal potere mafioso con il 2015 con il presente di un’Italia che cerca di uscire dalla crisi. Epoche unite da un uomo affidabile e competente, una “scelta giusta” per tutti questi motivi. Un successo di Matteo Renzi che l’ha colto tutto questo successo, supportato dallo storytelling della sua struttura di comunicazione.

Lo storytelling non nasce con Renzi in Italia. Ma solo da poco sembra che ci sia un “disegno”, una progettualità, nell’idearlo e nel metterlo in pratica. Silvio Berlusconi, negli anni del suo “ventennio”, supportato dall’ingombrante macchina comunicativa di Mediaset c’aveva propinato un suo storytelling . Magari un po’ vintage, con il self made man vincente nella creazione del suo impero e quasi “costretto” a ripetere l’impresa per il paese con l’obiettivo di salvare il liberalismo messo a dura prova dalle sinistre.

Ma lo storytelling di Berlusconi, raccontato dalle sue TV, dai suoi quotidiani, dai suoi periodici, dalle sue radio, dalle lettere inviate per posta a tutte le famiglie  s’è fermato al 2008. Da allora una lunga rincorsa a cercare di dimostrare che lo storytelling di olgettine, senatori pagati per cambiare casacca e condanne non erano il suo racconto.

Si aspetta ora un’altra storia che vada ad affiancare quella renziana del Pd 2.0. Uno storytelling di destra. Chissà quanto dovremo aspettare ancora.

P.s. Con questo pezzo inizia la mia piccola, personale, avventura nel mondo dei blog. Il nome Programmata (gli annunci elettorali scritti sui muri dell’antica Pompei, la più antica testimonianza di comunicazione politica “scritta” della storia dell’umanità) come cerco di spiegare nella pagina dal titolo “about” vuole essere uno sguardo, attraverso miei brevi pezzi sulla comunicazione politica e istituzionale italiana ma non solo. Per fotografare ciò che esiste e per cogliere le innovazioni che arrivano quando meno te l’aspetti. Ci sarà anche un archivio con pezzi di qualunque genere che scrivo per vari blog e siti di informazione. Curiosate pure!!

1 commento su “Se il consenso si conquista con lo storytelling”

  1. beh, anche il tuo racconto sullo “storytelling” (“narrazione emotiva” non rende meglio?) diventa automaticamente uno “storytelling”, o, al massimo meta-narrazione emotiva su fatti di costume. per provare ad uscire dal meccanismo abusato dal sistema mercato dell’informazione, l’unica strada (peraltro non facile e non scevra da possibili deviazioni costruite ad arte manipolando i dati) è quella di un approccio scientifico-matematico, ovvero di ricorrere all’unico strumento di condivisione inter-soggettiva che hanno a disposizione i cervelli umani per andare oltre i “secondo me” o i “credo che”. in medicina (sono medico), l’unico modo per ragionare in termini scientifici e non cadere vittima dalla narrazione emotiva delle medicine esoteriche è basarsi sulla statistica di popolazione. in “politica economica” (non esiste nessuna forma di politica che non sia anche economica, almeno non nella nostra società che è indubbiamente una società di mercato) vale lo stesso discorso: esistono studi scientifici di macroeconomia (“macroeconomics”, se ami particolarmente l’inglese), ovvero possediamo uno strumento per studiare in modo intersoggettivo se non oggettivo gli eventi e le realtà politico-economiche che ci circondano. ovvio che, in tal caso, bisognerebbe destreggiarsi bene in campo matematico-statistico. tu come te la cavi? ad esempio, mi verrebbe subito da chiosare che parlare di “destra” e “sinistra” non è parimenti una forma di narrazione emotiva (tipo bianco o nero, buono o cattivo, juventus o milan, successo o fiasco e così via) come già compreso e cantato con ficcante ironia da Gaber? : )

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